L’importanza di chiamarsi Mad Max
Già lo scorso dicembre ero in piena fibrillazione per Fury Road.
Perché dal teaser già avevo visto e fiutato quegli elementi che facevano presagire il tipo di film d’azione che c’era tanto bisogno di andare a vedere:
L’action sporco, più o meno ottantiano (non è che esistevano solo i Kung Fury del caso eh) portato in scena con tutta la potenza tecnologica oggi a disposizione dei registi, ma senza l’abuso dello schermo verde della CG:
parliamo di alta definizione, inquadrature astruse e complesse, combattimenti girati in contemporanea ripresi da millemila telecamere diverse, sonoro con tutta la potenza di una bomba atomica…insomma, cinema di puro impatto, un impatto viscerale e non ragionato, ma forse per questo tanto sanguigno.
Anche perché, e mi preme sottolinearlo, questo Mad Max Fury Road è un film serio, non amorevolmente macchiettistico come possono esserlo i (pur divertentissimi) Mercenari di Stallone, e del resto non è neppure uno dei tanti film d’azione di fascia bassa delocalizzati nell’Europa dell’est con due rupie:
Mad Max: Fury Road è a tutti gli effetti un capolavoro visuale con tutta la potenza di un blockbuster, possiede il valore artistico di un William Blake sotto acidi e una trama a malapena degna del prologo di una missione secondaria di Fallout 3, ed è una cosa che va spaventosamente bene:
Intendiamoci, come ho detto più volte io sono un fan dei dialoghi, delle storie logorroiche e complesse (se raccontate bene), uno che non ha particolare amore per effetti speciali e scene d’azione…
Ma quando quest’ultime sono girate in modo così divinamente apocalittico, in una sequenza visiva tale di luci, esplosioni in un contesto di perennemente movimento beh…ne vengo assolutamente rapito.
Anche perché, quei silenzi e quell’assenza di spiegoni, Miller li sa gestire perfettamente:
non c’è bisogno d’indagare, di sapere altro a proposito di quello che lui ti mostra.
Il resto lo puoi intuire immediatamente, o te ne puoi anche tranquillamente fregare per tornare a concentrarti sull’inseguimento più lungo della storia del cinema.
E su Charlize Theron.
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