Judas Priest - Redeemer of Souls [Recensione]
In realtà, ho già scritto questa recensione.
Almeno un po’.
Solo che l’album non era questo. E manco il gruppo!
Scherzi a parte, visto che vanno a concertare assieme in lungo e in largo e condividono lo status di leggende assolute del relativo genere musicale, mi riuscirebbe davvero difficile non ripetere certi discorsi che feci coi Motörhead di Aftershock, con questi Judas Priest di Redeemer of Souls.
Un disco di mestiere
Ci sono delle cose splendide in quest’album, delle piccole gemme di riff chitarristici (penso a Sword of Damocles, o Cold Blooded), c’è un Rob Halford che porta a casa un buon canto roco, perché giustamente all’età sua non è il caso d’inseguire troppo gli acuti della gioventù, anche perché questo timbro sporco e basso (per i suoi standard) non suona affatto male con il mood del disco.
Tante perle dicevo, in mezzo ad una buona dose di gustosa ciccia che, però, pare a tratti un po’ retorica.
Intendiamoci: quando una band con una storia simile si cimenta con un inedito trovo sia normale non pretendere chissà quale originalità…
è che ecco, in questo senso i Priest non sono i Motörhead, ovvero una granitica ed immutabile certezza del rock nei-secoli-e-nei-secoli-amen…i Judas Priest hanno inventato e reinventato l’heavy metal passando da Sad Wings of Destiny a Painkiller, infischiandosene bellamente delle leggi musicali degli anni ‘70, ‘80 (che loro stessi hanno partorito) e ‘90, generando suoni tra loro incredibilmente diversi, mostrando una capacità di reinventarsi (bene) forse unica tra le leggende del settore.
Redeemer Of Souls è un disco banale?
No ecco, corre forse il rischio di sembrarlo, certo, ma si tratta di un lavoro pensato e complesso, per quanto per molti tratti indubbiamente già sentito.
Però per dire, c’è, tra le altre chicche, tutto il piacere di sentirsi i nostri pretacci in un blues fierissimo (Crossfire) perfetto per la voce dell’Halford odierno e che forse forse avrebbe meritato pure più spazio aldilà del singolo pezzo. Ma questo è il piccolo Zakk Wylde che è in me che scrive, non fateci caso.
Quindi?
Semplicemente un bellissimo, ma davvero bellissimo disco heavy metal fatto da un gruppo di stagionati ragazzotti che a farlo credo ci si siano pure divertiti un bel po’.
Nessuna pretesa di lanciare un capolavoro, di sperimentare sonorità e concept particolari, al limite del progressive (Nostradamus) ma nemmeno la piatta banalità che un sacco di band ben più giovani non mancano di cacciare in album del genere.
Banalità propria anche di gruppi coetanei o quasi, vedi a titolo d’esempio gli ultimi due dischi degli Iron Maiden
Ecco, i Judas Priest suonano un Heavy Metal “classico” che suona comunque più originale di quello della stragrande maggioranza dei loro eredi, dimostrando di essere ancora capaci di tirar fuori pezzi energici quali Battle Cry (dove Halford riscopre se stesso ahimè non sempre al 100%) tanto quanto ballad bellissime come Beginning of the End
In particolare, a livello di miscela tra ritmica, riff, e assoli esistono davvero poche, pochissime band metal al mondo in grado di confrontarsi degnamente con il complesso di Birmingham senza uscirne con le ossa rotte
Nota personale in calce: io avrei levato le prime due tracce e Metalized (un po’ blande, title track in primis) e fatto spazio alle tracce bonus Tears of Blood, Bring It On e Never Forget
Commenti
Lollo
dissento! non fosse un disco dei Judas Priest questo lo chiameremmo tutti capolavoro senza problemi.....anche a me riesce difficile certo, ma perchè penso a painkiller, se considero redeemer confrontandolo con il + di quello che ho ascoltato negli ultimi tempi svetta in modi assurdi. Leggende sempre e comunque!
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