#JeSuisCharlie: l’impossibilità di dissentire dal dissenso
Non mi piace tornare su quest’argomento, però mi rendo conto che per un motivo o per l’altro mi ritrovo sempre ad averci a che fare, quindi tanto vale chiarire qui un po’ di cose.
Si, sono uno che ha sposato in modo assoluto la causa #JeSuisCharlie, perché quell’Io sono Charlie era un sostegno morale di un collettivo che voleva manifestare, nel proprio piccolo, solidarietà, cordoglio, rabbia ed indignazione.
Questo almeno nell’intento originale, prima delle inevitabili speculazioni (specie politiche)
Detto questo, a me Charlie Hebdo non piace.
Cioè, globalmente: alcune vignette le trovo molto belle ed efficaci, altre mi sembrano di un cattivo gusto gratuito.
Roba che io non leggerei, ma che voglio che continui ad essere pubblicata finché essa rientra nella legalità. E questo anche se non dovesse avere manco un lettore disposto a leggerla (e lì semmai entrano in moto le famosi leggi del mercato, che io comunque schifo abbastanza)
Inoltre, Charlie Hebdo è una rivista che non mi pare abbia mai fatto mistero dei propri contenuti, se uno la compra è consapevole di quello che sta per leggere.
Il punto, che nella mia ingenuità ritenevo abbastanza scontato, è che stare con il pluralismo non significa condividere tutto.
Sennò sarebbe fascismo alla rovescia. Fatevene una ragione.
Altri esempi?
Io sono pure per la libertà di stampa, ma quelle rare volte che intravedo un articolo di Libero nel migliore dei casi mi viene da ridere per non piangere.
Io sono pure per la libertà di parola, ma allo stesso tempo comprendo che questo porti soprattutto alla diffusione di cazzate.
Garantire le libertà d’espressione non significa andare d’accordo con tutti.
Quello semmai è disturbo bipolare.
O averci la patente da paraculo.
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