La notte che bruciammo Chrome - William Gibson [Recensione]
Immagina un alieno, mi aveva detto una volta Fox, che arrivi sulla Terra per identificare la forma intelligente dominate sul pianeta. L’alieno da un’occhiata e poi sceglie. Cosa pensi che abbia scelto? Io probabilmente alzai le spalle Le zaibatsu, disse Fox. Le multinazionali. Il sangue di una zaibatsu è fatto d’informazioni, non di gente. La struttura è indipendente dalle vite individuali che la compongono. Le aziende sono una forma di vita.” - New Rose Hotel
William Gibson
William Gibson è, con ogni probabilità, il padre del cyberpunk.
E, se c’è uno che potrebbe contendergli questo “titolo”, probabilmente quel qualcuno risponde al nome di Bruce Sterling che (tra le altre cose) ha scritto a quattro mani con Gibson uno dei racconti di quest’antologia.
Quindi, se v’interessa anche solo marginalmente approfondire il genere: accattatevi subito questo libro.
No, dico, subitissimo:
Solo 250 paginette, eppure rappresentano un summa creativo capace di pigliare a schiaffi il grosso della fantascienza cinematografica.
La notte che realizzammo il sogno erotico di Apple e Microsoft
La notte che bruciammo Chrome è una serie di racconti brevi antecedenti ai lavori più celebri di Gibson (come la Trilogia dello Sprawl), scritti nell’arco di tempo che va dal 1977 al 1985
Se non sapete cosa s’intende per cyberpunk potete farvi una veloce wikipediata (dando anche solo uno sguardo a bibliografia/filmografia), vi basti comunque sapere che quest’antologia rappresenta un ottimo biglietto da visita per il genere.
Una saporitissima macedonia
Limitarsi a dire che i dieci scritti che compongono il libro rappresentano dei fondamentali esponenti del genere, o decantare la bontà della prosa di Gibson (talvolta spiccatamente noir, talvolta colma di un melanconico romanticismo) non renderebbe giustizia al senso di varietà che passa da una storia all’altra
Il tono del narratore di turno può essere sia dinamico e scorrevole che enigmatico e lento, necessitante una lettura più cerebrale, e neppure soggetti e ambientazioni (per non dire generi letterari), fatta eccezione per il periodo storico, risultano troppo imparentati.
Giusto per fare qualche esempio spiccio:
Il Mercato d’Inverno, straordinariamente emotivo (forse il racconto che ho preferito), è molto diverso dai risvolti politici (guerra fredda portami via) legati all’esplorazione spaziale che fanno da fondamento a Hinterland e Stella rossa, orbita d’Inverno…
Ancora, La razza giusta per molti aspetti mi ha ricordato il miglior Tiziano Sclavi in un possibile soggetto per qualche storia di Dylan Dog, dotato di un cipiglio molto diverso da racconti più “classicamente cyberpunk” quali Johnny Mnemonico o la storia da cui l’antologia prende il titolo
“Faceva caldo, la notte che bruciammo Chrome.”
Come si è intuito, Gibson è un autore poliedrico, ispirato e matto.
Per questi motivi, è molto facile venire letteralmente travolti dal suo stile e immersi nella lettura…ma allo stesso modo non è da escludere che alcuni racconti possano lasciare abbastanza indifferenti, con il palato di chi legge unico e insindacabile giudice
Di mio, posso dire che di palati Gibson ne sa raggiungere molti e soprattutto estremamente diversi (a differenza di quanto spesso accade con la fantascienza più convenzionale) e che chiunque dovrebbe concedersi l’onore di addentrarsi nei suoi mondi distopici
E con questo, inforcando i celeberrimi occhiali a specchio (simbolo universale del cyberpunk) chiudiamo il file.
Alla prossima, netrunners !
Scrivi un commento
Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. Sono segnati i campi obbligatori *