Motörhead - Aftershock [Mini-Recensione]
Dicevo, parlando dei Pearl Jam nella mia ultima recensione musicale, che mi pareva di notare una certa perdita di smalto, qualche compromesso (musicale & non) di troppo dettato forse dall’età, forse da una grinta lasciata in pensione
Ecco, parlare dell’ultimissimo disco dei Motörhead non potrebbe pormi in una condizione più diversa:
Lemmy Kilmister (classe 1945) accompagnato al solito dalla batteria dello svedese Mikkey Dee e dalla chitarra dell’italo-gallese (stando a wikipedia almeno, confesso che sta cosa non la sapevo) Phil Campbell dimostra che, per farla breve, il suo power trio continua ad averci due palle così
Solito rock’n’roll pesantissimo, principale ispiratore del thrash metal delle origini (a cui a ben vedere è sopravvissuto in migliori condizioni) ma anche moltissimo blues in Dust and Glass, nella meravigliosa Lost Woman Blues (appunto) e sparso (in modi più o meno aggressivi) in tanti pezzi qua e la
Insomma, i Motörhead fanno i Motörhead: possono essere confrontati solo con loro stessi, e dal confronto Aftershock ne esce bene.
Anzi, a dirla tutta ne esce proprio benissimo:
è un album grezzo, cattivo, con tratti splendidamente malinconici (è sempre strano dirlo, ma io credo che in pochi abbiano portato al metal/hardrock una carica tristemente disperata come la voce di Lemmy nelle ballad) e che, per quanto assolutamente classico e per nulla originale, grazie al peculiare stile della band riesce a non suonare come la solita minestra riscaldata
Semplicemente, è un disco fottutamente bello che non può non piacere ad un fan del gruppo, e che se avete un lungo polveroso viaggio da affrontare rappresenta una splendida, giurassica colonna sonora capace di aprire affettuosamente il didietro al vostro ipod carico di Dubstep.
Quindi, come direbbe il buon Walter White, tread lightly.
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